Striscione degli ultras della Dea sui fatti di Genova
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Gli ultras della Dea, durante Atalanta – Chievo,hanno esposto uno striscione di solidarietà nei confronti degli ultras del Genoa, criminalizzati dall’opinione pubblica.
Un pensiero su “Striscione degli ultras della Dea sui fatti di Genova”
Tutto il mondo ha visto l’incredibile follia degli ultras genoani che, infuriati contro la loro squadra, hanno deciso di costringere i propri giocatori a togliersi le divise sociali in quanto “non degni di indossarle”. In molti hanno commentato l’assurdo gesto dei tifosi ma sopratutto dei calciatori, che hanno obbedito alla volontà dei tifosi togliendosi le divise sociali.
Tra coloro che hanno commentato a caldo la scena c’è Paolo Di Canio, ex calciatore della Lazio e famoso per essere sempre vicino al fenomeno delle tifoserie organizzate. Questa volta però anche l’ex attaccante ha avuto da ridire sui modi utilizzati dai tifosi e, anzi, ha detto che se ci fosse stato lui in campo mai si sarebbe piegato ad una volontà del genere:“Io vengo da il mondo ultras e gli sono sempre stato vicino perche’ ho sempre considerato le curve come dei centri sociali e in questo senso e’ un bene che ci sia: e’ giusto che si contesti pero’ nei limiti, senza creare problemi ad altre persone che hanno pagato per uno spettacolo e domenica e’ stata una brutta giornata – il parere di Di Canio -. Soprattutto per i giocatori che si tolgono la maglia: a me sarebbero dovuti venire in duemila a strapparmela. Ma non capisco le istituzioni: quelli che si indignano per il sono gli stessi che governano il calcio da vent’anni. Negli altri stati quando un progetto fallisce chi ne tiene le redini se ne va, si dimette, invece di indignarsi pubblicamente per farsi bello”.
Ho sempre avuto grande ammirazione per Paolo Di Canio, ma questa volta secondo me si sbaglia. O meglio non tiene conto che non tutti quelli che giocano a calcio lo vivono come lui: certo, a lui bisogna andare a strappargliela in duemila, ma è anche vero che a lui non è mai venuto in mente di vendersi una partita, che lui quando segnava nel derby andava ad esultare sotto la Sud, che lui quando un compagno di squadra batteva la fiacca lo attaccava al muro in spogliatoio. Lui può camminare a testa alta anche quando perde, evidentemente molti altri no, se si pensa che c’è stata gente come Marco Rossi che come un cagnetto bastonato si è tolta la maglia senza fiatare e l’ha fatta togliere anche ai compagni! Paura? Non diciamo stronzate, si chiama coscienza sporca a casa mia!
Di Canio quando parla dovrebbe tener presente che non tutti sono come lui, e che sono pochi ormai quelli che onorano la maglia. Per un tifoso si può vincere come perdere, o anche retrocedere: se c’è l’impegno il rispetto c’è comunque. Quando manca l’impegno, ci si incazza. E’ normale.
Condivido in pieno invece quanto dice sulle istituzioni calcistiche. E rilancio: sono loro il primo male del calcio italiano!
Tutto il mondo ha visto l’incredibile follia degli ultras genoani che, infuriati contro la loro squadra, hanno deciso di costringere i propri giocatori a togliersi le divise sociali in quanto “non degni di indossarle”. In molti hanno commentato l’assurdo gesto dei tifosi ma sopratutto dei calciatori, che hanno obbedito alla volontà dei tifosi togliendosi le divise sociali.
Tra coloro che hanno commentato a caldo la scena c’è Paolo Di Canio, ex calciatore della Lazio e famoso per essere sempre vicino al fenomeno delle tifoserie organizzate. Questa volta però anche l’ex attaccante ha avuto da ridire sui modi utilizzati dai tifosi e, anzi, ha detto che se ci fosse stato lui in campo mai si sarebbe piegato ad una volontà del genere:“Io vengo da il mondo ultras e gli sono sempre stato vicino perche’ ho sempre considerato le curve come dei centri sociali e in questo senso e’ un bene che ci sia: e’ giusto che si contesti pero’ nei limiti, senza creare problemi ad altre persone che hanno pagato per uno spettacolo e domenica e’ stata una brutta giornata – il parere di Di Canio -. Soprattutto per i giocatori che si tolgono la maglia: a me sarebbero dovuti venire in duemila a strapparmela. Ma non capisco le istituzioni: quelli che si indignano per il sono gli stessi che governano il calcio da vent’anni. Negli altri stati quando un progetto fallisce chi ne tiene le redini se ne va, si dimette, invece di indignarsi pubblicamente per farsi bello”.
Ho sempre avuto grande ammirazione per Paolo Di Canio, ma questa volta secondo me si sbaglia. O meglio non tiene conto che non tutti quelli che giocano a calcio lo vivono come lui: certo, a lui bisogna andare a strappargliela in duemila, ma è anche vero che a lui non è mai venuto in mente di vendersi una partita, che lui quando segnava nel derby andava ad esultare sotto la Sud, che lui quando un compagno di squadra batteva la fiacca lo attaccava al muro in spogliatoio. Lui può camminare a testa alta anche quando perde, evidentemente molti altri no, se si pensa che c’è stata gente come Marco Rossi che come un cagnetto bastonato si è tolta la maglia senza fiatare e l’ha fatta togliere anche ai compagni! Paura? Non diciamo stronzate, si chiama coscienza sporca a casa mia!
Di Canio quando parla dovrebbe tener presente che non tutti sono come lui, e che sono pochi ormai quelli che onorano la maglia. Per un tifoso si può vincere come perdere, o anche retrocedere: se c’è l’impegno il rispetto c’è comunque. Quando manca l’impegno, ci si incazza. E’ normale.
Condivido in pieno invece quanto dice sulle istituzioni calcistiche. E rilancio: sono loro il primo male del calcio italiano!